NARRATORIO GRAFICOdi Tabea Nineo : Quanto bianca la nostra solitudine, 1963.

martedì 10 luglio 2012

Quanto bianca la nostra solitudine, 1963.

China su carta, 8 x 8 cm. circa

1 commento:

Mayoor21 gennaio 2013 alle ore 04:45
Questa figurina mi piace perché non la capisco. Sembra un paradosso, ma se in pittura capissimo tutto, se le immagini con conservassero alcun mistero, il nostro interesse scemerebbe, il noto sarebbe routine e ai musei ci andrebbero soltanto i decoratori per imparare qualcosa della tecnica pittorica.
E' una figurina bella, che può essere letta in svariati modi perché sembra contenere parecchie altre figure. Io la "sparerei" con un proiettore su una tela (80cm?) e ne approfitterei per indagare sulle campiture. La china ha brillantezze che non si possono rifare... così come i pennarelli! Ciao
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Risposte

Presentazione.

Da ragazzo ho imparato a scrivere. Ma ad un certo punto ho imparato anche a disegnare. In astratto e in molti casi le due attività sono anche conciliabili o possono alternarsi senza troppi problemi. Nel mio caso non è andata così. Quelle strade mi sono parse divaricate e inconciliabili. È lo sono state per davvero. Non solo nel vissuto, ma nella mia esistenza concreta. Così per varie ragioni la scrittura ha preso il sopravvento sul’altra attività, rimasta “secondaria”, quasi venisse fuori da un altro, quel Tabea Nineo (anagramma giovanile del suo nome e cognome anagrafici), col quale alla fine ho finito per firmare disegni e dipinti. Di tanto in tanto Tabea Nineo a spintoni s’è preso un suo spazio. Ha fatto a lungo “disegnini” in bianco/nero su pochi centimetri di carta. Li ha “graffiati” con una gestualità non diversa da quella di quando scrivo a mano con una grafia nervosa e quasi illeggibile. Ed è forse in questa zona che la mia grafia (scrittura che mira alle parole e ai pensieri) s’incontra col grafismo (disegno che mira a costruire figure e immagini); e le due attività sembrano collaborare o somigliarsi di più. Per poco però. Perché a me pare che imbocchino sempre direzioni diverse e sembrano perdersi di vista o perfino ignorarsi. Per tornare a confrontarsi ancora, magari a distanza di anni, e riconoscersi un po’ più vicine. Potrei dire che per anni Tabea Nineo ha “insinuato” i suoi schizzi sui margini dei fogli che Ennio Abate scriveva. O sulle pagine dei giornali, delle riviste o dei libri, che, per passione o obblighi egli andava leggendo. Molto tardi, solo negli anni Novanta, sono riuscito a disegnare su fogli da pacco o da disegno standard e non più con la vecchia stilografica o la biro, ma con il vecchio pennino, il pennello, il pennarello, il carboncino, il pennello. E ancora più recentemente su tela e col colore (ad olio). Ed ora, occasionalmente e per prova, sul computer. Mi chiedo quanto le due ricerche siano autonome o complementari. Per altri è forse più facile cogliere somiglianze e unità d’intenti, alleanza anziché competizione o persino contrasto (come a volte sospetto). Per me rimangono inquietamente vicine e sempre pronte a distinguersi. Anche se il sogno di una possibile unità, nella quale disegni, poesie e prose si ricompongano, per riconosciuta gemellarità o vicinanza, fuori da ogni anche provvisoria gerarchia, non è del tutto svanito. Per ora, però, e forse fin quando camperanno, mi pare meglio che Tabea Nineo resti in fraterna o rissosa convivenza con Ennio Abate.

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